Il Vinitaly 2024 si è confermato come la fiera di riferimento per il settore del vino a livello globale. Secondo i dati diffusi dagli organizzatori, il comparto vale per il nostro Paese 45 miliardi di euro, oltre un punto percentuale del Pil italiano, e si piazza al secondo posto nella bilancia commerciale dietro all'oreficeria. 

Il vino cuba il 9% del fatturato del Food&Beverage italiano, per un totale di 16 miliardi. Mentre le esportazioni sono a 8 miliardi, pari al 16% dell'agroalimentare. L'Europa è il primo mercato di vendita, che assorbe il 41% delle bottiglie, seguita da Usa (al 28%, in grande flessione) e dall'Asia.

 

Se dunque quello vitivinicolo è un settore in salute, sulla strada della crescita si pongono diverse sfide, le due principali sono: garantire la sostenibilità ambientale della produzione e far fronte ai timori salutistici da parte dei consumatori.

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I consumatori preferiscono le "bottiglie pesanti"

Emblematico è stato uno studio dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, presentato durante un evento organizzato da Confagricoltura al Vinitaly, da cui è emerso come gli italiani siano sempre più alla ricerca di prodotti rispettosi dell'ambiente e dei territori, anche se non sono sempre disposti ad aprire il portafogli per averli.

 

Sul fronte della sostenibilità ci sono oggi diverse certificazioni, come ad esempio Viva ed Equalitas, che tuttavia non sempre godono di una corretta riconoscibilità da parte del consumatore. Un altro esempio di disallineamento tra gli sforzi delle aziende e la percezione del consumatore riguarda il packaging.

 

Come raccontato da Marta Galli, direttore operativo dell'Osservatorio Sustainable Wine Business and Enogastronomic Tourism dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha svolto una ricerca in collaborazione con Le Donne del Vino, il consumatore predilige le bottiglie pesanti, quelle oltre il mezzo chilo, in quanto pensano che siano in grado di offrire una garanzia sulla qualità del vino contenuto e sulla sua conservazione nel tempo. Falsi miti, che tuttavia rendono meno appetibili le bottiglie leggere, quelle sotto il mezzo chilo, la cui produzione ha un impatto energetico, e quindi ambientale, nettamente inferiore. E proprio per questo alcuni monopoli, come quelli nordeuropei e canadese, impongono ai fornitori di usare solo bottiglie sotto il mezzo chilo di peso.

 

Senza parlare poi di tappi, capsule, etichette e fonti di energia rinnovabile utilizzate nei processi produttivi. Diverse aziende infatti hanno in progetto di sfruttare gli incentivi per realizzare coperture fotovoltaiche al fine di alimentare le operazioni in cantina con elettricità ad impatto zero. Mentre sul mercato sono ormai disponibili etichette di carta riciclata e tappi realizzati con materiali alternativi al sughero e alla plastica, come ad esempio quelli prodotti con polimeri di origine vegetale, smaltibili nell'organico.

 

Insomma, il settore vinicolo, grazie anche all'economia che genera, sta oggi investendo molto sul tema della sostenibilità ambientale e su come raccontarla al consumatore finale. Su questo fronte la tracciabilità gioca un ruolo chiave, in quanto il racconto di un vino può essere realizzato solo se alla base ci sono i dati per raccontarlo. Dati che, ormai, sono prettamente digitali e quindi trasmissibili facilmente tra tutti gli attori della filiera, fino ad arrivare al consumatore finale, magari tramite blockchain.

 

Su questo fronte sta lavorando un'azienda presente al Vinitaly, The Glass Élite, che ha presentato la sua piattaforma che si basa sull'utilizzo di tag NFC inseriti sotto l'etichetta. Dei tag univoci che, semplicemente avvicinando uno smartphone, sono in grado di fornire al consumatore i dati sulla bottiglia di vino acquistata.

 

Ma c'è di più, perché la loro idea è stata quella di creare degli Nft, Non Fungible Token, di produzioni non ancora in commercio. Come ci hanno spiegato dall'azienda, le cantine possono vendere il diritto di possesso di produzioni che hanno bisogno ancora di invecchiare in cantina, ottenendo un flusso positivo di cassa, mentre chi acquista, privati o soggetti del canale Horeca, possono aggiudicarsi lotti a prezzi scontati, senza tuttavia avere l'onere di stoccare la merce per proprio conto.

 

Prova di questo interesse verso la sostenibilità è anche il successo del comparto dei vini biologici. Secondo i dati dell'Osservatorio Wine Monitor di Nomisma, un consumatore su due sceglie etichette bio. Negli ultimi dodici mesi, il 52% degli acquirenti abituali di vino ha preferito, infatti, optare per un vino biologico, ritenendolo garanzia di qualità, sicurezza, sostenibilità e tutela ambientale.
 
Questo trend, rileva ancora l'Osservatorio Wine Monitor, trova conferma nell'incremento del 6,5% delle vendite di vino biologico italiano registrato nel 2023 rispetto all'anno precedente, considerando la globalità dei canali distributivi. Una crescita superiore rispetto al convenzionale, che nello stesso periodo si è attestato al +2,8%.

 

E al Vinitaly era presente anche qualche produttore di viti Piwi, varietà cioè in grado di resistere naturalmente a funghi come peronospora e oidio, richiedendo un numero estremamente limitato di trattamenti, anche solo due o tre all'anno. Vitigni che non hanno mai sfondato, a causa delle qualità non ottimali che esprimono, mentre ad avere successo potrebbero essere le piante ottenute tramite le Tea, tecnologie in grado di rendere resistenti a patogeni le varietà tradizionali, come un Sangiovese o un Glera.

 

Cresce l'avversione per l'alcol nel vino

Ma al Vinitaly si è molto parlato anche di altre sfide che il comparto ha davanti, come quella del vino senza alcol, per andare incontro alle richieste di stampo salutistico (o religioso) provenienti da una parte della popolazione. Nonché la decisione del Belgio di introdurre delle "avvertenze sanitarie" sulle etichette delle bottiglie di alcolici, vino compreso.

 

Il Ministero belga, infatti, ha approvato un Piano interfederale che impone dal 2025 etichette con avvertenze sanitarie su vini, birre e distillati, sui potenziali danni per la salute e impone anche le stesse avvertenze sugli spot pubblicitari. L'obiettivo è quello di rendere il consumatore consapevole.

 

Provvedimenti che sono stati vissuti come un attacco al vino italiano, nonostante riguardino tutte le bevande alcoliche, birra compresa. Su questo piano la politica e il mondo imprenditoriale hanno fatto quadrato, promettendo di dare battaglia a Bruxelles.

 

"Rimaniamo fermamente convinti che i consumatori meritino di essere correttamente informati e che sia necessario maggiore impegno nell'educazione per contrastare ogni forma di abuso di alcol", ha affermato la presidente di Federvini Micaela Pallini. "Ciò deve però avvenire nell'ambito di un corpus giuridico omogeneo a livello europeo. Permettere agli Stati membri di procedere in ordine sparso non solo è contrario ai principi del mercato unico, ma in ultima analisi riteniamo non vada negli interessi dei consumatori europei che finirebbero per essere destinatari di messaggi disomogenei e potenzialmente contraddittori".

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Quello che però si nota è un cambiamento nello stile di consumo di vino. Salta agli occhi, infatti, che lo scorso anno la Gdo ha registrato una contrazione delle vendite, un trend seguito anche da altri Paesi, come la Francia. Tuttavia, c'è una maggiore ricerca da parte del consumatore, soprattutto giovane, che non si fa influenzare solo dal prezzo e dalla scontistica davanti allo scaffale del supermercato. Segno che il vino è sempre meno percepito come un alimento, da mettere in tavola sempre e comunque, e si sta trasformando in un bene esperienziale, meglio ancora se sostenibile, nei confronti del quale il consumatore è disposto a spendere qualcosa in più.

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