Cresce la produzione mondiale di mais (+6,1%), con l'Unione Europea (Ue) che recupera terreno rispetto all'annata precedente. Le stime del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti d'America (Usda) pubblicate nei giorni scorsi segnano un'accelerazione del 16,7% tendenziale, volumi che dovrebbero rallentare le importazioni (-9,5%) europee per i prossimi mesi.

 

Mais, le strategie cinesi

Anche la Cina incrementa la produzione maidicola (+4,2%) e - con la previsione di sfiorare i 289 milioni di tonnellate - il Celeste Impero si colloca alle spalle degli Stati Uniti, i quali hanno in previsione un raccolto di 100 milioni di tonnellate superiore. Primo importatore di mais a livello globale, con acquisti in agenda che Washington stima in crescita del 22,9% per 23 milioni di tonnellate, la Cina manterrà stock "pesanti", pari al 66,6% dei magazzini mondiali.

 

Sono i segnali, secondo gli analisti, della volontà di rafforzare la zootecnia, accompagnando alla crescita del numero di capi anche strategie industriali per valorizzare la trasformazione delle materie prime di derivazione zootecnica. Avere i magazzini pieni significa, inoltre, poter influenzare la direzione dei mercati in una fase in cui le tensioni internazionali sul piano geopolitico potrebbero innescare confronti bellici e il cibo, si è visto, costituisce anch'esso un'arma sulla quale poter contare.

 

E sempre con riferimento ad un mondo che sta cambiando nelle alleanze anche commerciali, gli Stati Uniti, primi fornitori di cereali verso la Cina nel 2021 e nel 2022, nel 2023 si sono visti scalzare il primato da Brasile e Australia, sia per i prezzi evidentemente più vantaggiosi che per la fine dell'accordo fra Washington e Pechino per la fornitura di materie prime agricole.

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Focus sul frumento

Dalle elaborazioni Usda, pubblicate sul sito Teseo.Clal.it, il dato forse più interessante è legato al frumento, con l'Unione Europea che manterrà le produzioni interne sostanzialmente stabili (-0,1%) a 134,15 milioni di tonnellate, ma dovrebbe cedere terreno sul versante delle esportazioni (-1,7%), con una contrazione a 34,5 milioni di tonnellate. Rispetto alla previsione precedente dell'Usda presentata lo scorso 9 marzo, si tratta di circa 2 milioni di tonnellate in meno. Una cifra non proprio trascurabile.

 

Unione Europea e Russia

Secondo gli esperti le previsioni di un rallentamento sensibile dell'export del grano Ue andrebbero individuate nella forte concorrenza della Russia, che in base ai dati stimati (la Russia non comunica i numeri) esporta il 24,4% del grano mondiale, più del doppio di quanto esportava nel 2014-2015. Secondo l'Usda, la Federazione Russa dovrebbe polverizzare anche il record precedente di 47,5 milioni di tonnellate, toccato nella stagione 2022-2023, sollevando anche molta perplessità circa la reale provenienza del frumento, in parte probabilmente requisito all'Ucraina. Strategia di "soft power" per mantenere allineati nella propria orbita diversi Paesi del cosiddetto "Sud del mondo" in una fase in cui la guerra di aggressione all'Ucraina non sempre incontra i favori delle diplomazie internazionali.

 

La strategia vincente di Mosca è quella di collocare il prodotto a prezzi inferiori e particolarmente competitivi rispetto ad altre realtà, fra le quali appunto l'Unione Europea. A beneficiare del raccolto russo sono, in particolare, il Medio Oriente e l'Africa, tanto che il calo dell'export comunitario si è attestato al -25% per la rotta nordafricana e del 60% verso l'area mediorientale.

 

Il Marocco, in particolare, potrebbe beneficiare dell'export russo di grano. A causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici, infatti, l'agricoltura del Marocco è orientata a ridurre le semine di cereali. Le importazioni potrebbero raggiungere i 10 milioni di tonnellate nel 2024, secondo quanto dichiarato a Medias24 da Moulay Alaoui, presidente della Federazione Nazionale Molitoria del Marocco. Più di 1 milione di tonnellate in più rispetto all'import dell'anno precedente, legato appunto alla forte contrazione prevista della superficie coltivata. Addirittura il volume degli acquisti di grano duro e tenero dovrebbe essere di almeno 6 milioni di tonnellate, un livello equivalente a quello delle ultime tre campagne.

 

Nell'arco del 2023, l'Unione Europea ha importato oltre 37 milioni di tonnellate di cereali, per un valore superiore agli 11,5 miliardi di euro (Fonte: Teseo.Clal.it), con l'Ucraina primo fornitore (+23,4%) rispetto al 2022 e volumi vicini a 20 milioni di tonnellate, più della metà, quindi, di tutto l'import cerealicolo comunitario.
Cifre che, a ben vedere, stridono con i volumi ritirati dall'Unione Europea e di provenienza russa: 1,52 milioni di tonnellate, in crescita del 57,6% rispetto al 2022, ma su volumi nettamente inferiori rispetto alle quote di cereali ritirate dall'Ucraina.

 

Per questo forse hanno ragione quei report - uno su tutti, il nostro Ispi, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale - che denunciano come un ritorno a dazi più pesanti nei confronti delle esportazioni di cereali dalla Russia verso l'Ue conterrebbe sì un messaggio simbolico nei confronti di Mosca, ma la cui efficacia sarebbe limitata.

 

Eppure, di questo stanno discutendo gli Stati membri dell'Unione Europea, e non è escluso che nelle prossime settimane si riesca a ratificare l'imposizione di dazi verso grano, mais e gli altri cereali provenienti da Russia e Bielorussia.

 

Il mondo agricolo, forse più attento alle rotte commerciali, ha cominciato a chiedere di valutare l'estensione di tali dazi anche all'Ucraina, i cui quantitativi di cereali ritirati esercitano in effetti un impatto decisamente maggiore sulla volatilità dei mercati comunitari, portando al ribasso dei prezzi, visti i prezzi di vendita dei cereali ucraini, molto più bassi rispetto a quelli intra Ue. Da qui, appunto, le pressioni dei cerealicoltori - non soltanto dell'Europa Orientale, ma anche della Francia - per calmierare i ritiri e non deprimere i listini locali. La partita, comunque è ancora aperta e l'iter per la deroga alla clausola di salvaguardia all'import non è ancora stata votata.

 

Il ripristino dei dazi ordinari sarebbe dovuto scattare in presenza di un quantitativo di importazioni superiore alla media del periodo 2022-2023 per una lista di prodotti sensibili composta da pollame, uova, zucchero, avena, mais, semole e miele. Alcuni Stati membri, fra cui Francia e Polonia, hanno chiesto, come detto, di inserire il grano tra i prodotti sensibili e di includere il 2021 nel periodo di riferimento.

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Sguardo a Oriente

Per la Cina la campagna del frumento dovrebbe essere caratterizzata da una frenata della produzione (-0,8%) e dell'import (-17,2%), con la conseguenza che, complici consumi interni in aumento (+3,7%), a fine stagione subiranno un'erosione gli stock (-4,9%), che resteranno comunque su livelli superiori al 51% rispetto a tutte le scorte mondiali.

 

Fra i grandi produttori di grano, le proiezioni sono positive per l'India (+6,3%), grazie alle condizioni di crescita favorevoli per gran parte della stagione, con sufficienti riserve di umidità del suolo e temperature vicine alle norme stagionali. La produzione potrebbe, quindi, secondo le stime Usda, raggiungere un nuovo picco, superiore a 110 milioni di tonnellate (per dare un parametro di confronto: l'Ue è previsto che produca 134,15 milioni di tonnellate e la Cina 136,59 milioni).

 

E l'Italia?

Le importazioni di cereali a gennaio sono aumentate del 16,5% rispetto allo stesso mese del 2023, con Ungheria, Ucraina, Slovenia, Canada e Croazia primi fornitori. Secondo Anacer, l'Associazione Nazionale Cerealisti che rappresenta i trader del settore, sono risultate in aumento le quantità importate in Italia di grano tenero (+171mila tonnellate), mais (+92.500) e orzo (+18mila); in diminuzione invece, dopo il boom dell'import nel 2023, risultano gli arrivi di grano duro (-51.400 tonnellate) e altri cereali minori (-5.100).